COVID-19: ispezioni aziendali e rischio di sanzione
COVID-19: Ispezioni aziendali e il rischio di sanzione. Non sufficiente la responsabilità “residuale”.
Con l’entrata in vigore del D.P.C.M. 27 aprile 2020, n. 108 si amplia la categoria delle attività consentite (aggiungendosi nuovi codici Ateco rispetto a quelli contenuti nell’allegato 3 al D.P.C.M. 10 aprile 2020) subordinando, al contempo, il loro esercizio all’adeguamento dei Protocolli Nazionali di sicurezza negli ambienti di lavoro e nei cantieri, sottoscritti dalle Parti Sociali e il Governo lo scorso 24 aprile.
La eliminazione di forme di comunicazione o autorizzazione preventiva fa si che le aziende debbano necessariamente farsi trovare pronte ad una doppia sfida: riorganizzare i processi di gestione (senza stravolgerne il core); ridurre i rischi sanzionatori durante i controlli dell’Autorità competente.
Il sistema di verifica della sussistenza delle condizioni richieste per la prosecuzione delle attività aziendali oggi viene sostituito da un generale regime di controlli all’osservanza delle prescrizioni contenute nei protocolli richiamati in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro; il quale può dar vita alla emissione di pesanti provvedimenti a loro carico sotto vari profili (penali, economici, giuslavoristici, risarcitori) che si declinano in contestazione di reati, chiusura immediata dell’attività, procedure disciplinari e sanzionatorie, richieste economiche per danni procurati.
Al riguardo le SS.LL. sono state già delegate dal Ministero dell’Interno a programmare servizi di controllo mirati nelle aziende. E ciò secondo un piano di coordinamento e pianificazione – approvato dall’Ufficio di Gabinetto del medesimo Ministero – di tutte le attività finalizzate a garantire un’attenta vigilanza sull’attuazione delle misure di contenimento e di contrasto dell’emergenza Covid-19.
Il DPR 520/1955, nonchè la legge 833/1978 già riconoscevano (e riconoscono) il potere di disposizione all’Ispettorato del lavoro da un lato, e la funzione di esecuzione dell’attività di vigilanza in capo alle ASL dall’altro (e a seguito di tali attività, ovviamente, non può escludersi l’applicazione della pena dell’arresto fino a un mese e dell’ammenda sino a 413,20 euro). Per cui sembrerebbe eliminato il dubbio circa l’esercizio del potere specifico di disposizione, in capo agli ispettori ASL, di esercitarlo direttamente in sede di accertamento. E ciò in forza dell’art. 10 D.P.R. n. 520/1955. Ancora, è altrettanto chiaro il potere di contestazione, in capo al datore di lavoro, della violazione dell’obbligo di adeguamento alle raccomandazioni contenute nei su citati protocolli.
Il nuovo contesto normativo così ha indotto urgentemente il Ministero dell’Interno a costituire Nuclei specializzati – per svolgere ispezioni e accertamenti – a composizione mista (stante la multidisciplinarietà della materia) che prevedano l’apporto, in sede di verifica, nell’ambito delle rispettive competenze, di personale delle articolazioni territoriali. Pertanto, non solo limitate all’Ispettorato Nazionale del Lavoro e alle Aziende Sanitarie Locali, ma anche al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, al Comando Carabinieri per la tutela del Lavoro. Non escludendosi che, in breve tempo, possano essere coinvolte altre forze delegate (quali la GdF).
Con riferimento alla normativa applicabile in sede di accertamento, l’art. 2, comma 6 del D.P.C.M. 108/2020, considerando le prescrizioni ivi contenute quali misure di contenimento del contagio, prevede che la violazione di queste determini l’applicazione del sistema sanzionatorio strutturato nell’art. 4 del D.L. 25 marzo 2020, n. 19. In esso, infatti, sono previste sanzioni di natura amministrativa, pecuniaria ed accessoria, “salvo che il fatto contestato costituisca reato”.
La base giuridica di diritto penale è altrettanto chiara. La materia della tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ex d.lgs 81/08 – connessa all’apparato organizzativo fondato sul d.lgs 231/01 e successive modifiche – costituisce presupposto per le c.d. “verifiche Covid-19” finalizzate al controllo circa la sussistenza degli illeciti penali. Onde sul datore di lavoro incombe l’obbligo di adeguamento sulla base di nuovi e diversi modelli di organizzazione aziendale; poiché diversa appare la fonte giuridica (Protocolli condivisi di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritti in data 14.03.2020 e 24.04.2020, in attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’11 marzo 2020) con la ulteriore considerazione che, con ogni probabilità e a breve, ulteriori “Raccomandazioni” e misure saranno introdotte (anche sotto la veste di “precisazioni”).
Per cui, fuori dal contesto “classico” (d.lgs 81/01 e 231/01) troveranno applicazione le disposizioni contenute nel citato art. 4 del D.L. n. 19/2020 in relazione alle quali si vuole richiamare l’attenzione delle aziende.
In esso, al suo comma 2, si individuano specifici settori di attività commerciale oggetto di accertamento.
Il richiamo è all’art. 1, comma 2 (dell’ora detto Decreto Legge), lettere i), m), p), u), v), z) e aa) per le quali “si applica altresì la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni”.
Senza dimenticare che il medesimo art. 1, comma 1, prevede la punizione della sanzione amministrativa (da euro 400 a 3.000) aumentata sino ad un terzo (per il caso dell’applicazione di aggravante specifica di utilizzo di un veicolo).
Nelle riferite attività sono contemplati: cinema, teatri, sale da concerto e da ballo, discoteche, sale giochi e di scommesse, sale bingo, centri culturali e sociali, quelli creativi ed altri luoghi di aggregazione (es. associazioni); palestre, centri termali e sportivi, piscine, centri natatori e impianti sportivi (anche se privati) e le attività che prevedano modalità di svolgimento di allenamenti sportivi all’interno degli stessi luoghi; servizi educativi per l’infanzia e istituzioni di formazione superiore (comprese le Università), istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica, nonché alcune tipologie di corsi (sia professionali che per specifiche attività formative) svolti da enti pubblici e da soggetti privati; d) attività di vendita al dettaglio (eccezion fatta per quelle necessarie ad assicurare beni essenziali), di somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti, bar e ristoranti; attività di impresa o professionali (anche ove comportino l’esercizio di funzioni pubbliche; fiere e mercati (eccezion fatta per quelli necessari per la reperibilità di beni essenziali).
Le violazioni verranno accertate sulla scorta della legge n. 689/1981 e, per talune ipotesi di violazione di misure dettate per evitare la diffusione del contagio (quindi per il caso di prosecuzione e/o reiterazione della condotta), è prevista la possibilità per l’organo procedente, già all’atto di accertamento, di disporre la “chiusura provvisoria dell’attività o dell’esercizio per una durata non superiore a 5 giorni. Il periodo di chiusura provvisoria è scomputato dalla corrispondente sanzione accessoria definitivamente irrogata, in sede di sua esecuzione” (la quale potrà essere prolungata sino a corretto adeguamento). Ancora per il caso di reiterazione della condotta in violazione si prevede, al comma 5, art. 4 D.L. n. 19/2020 che “la sanzione amministrativa è raddoppiata e quella accessoria è applicata nella misura massima”.
Si rammenta che, per le attività produttive, l’obbligo di preventiva comunicazione al Prefetto resta unicamente con riguardo alle attività sospese (non incluse nell’allegato 3 D.P.C.M. 10 aprile 2020) e al solo fine di ammettere l’accesso ai locali aziendali di personale dipendente o terzi delegati per lo svolgimento di specifiche attività (vigilanza, manutenzione, contabilità, pulizia e sanificazione, spedizione di merce, ricezione di beni e forniture).
Particolare prudenza occorrerà adottare negli spostamenti verso l’attività lavorativa per quei soggetti risultati positivi al Covid-19 e sottoposti a quarantena. Contravvenendo agli obblighi di legge, salvo che il fatto costituisca violazione dell’art. 452 codice penale (“delitti colposi contro la salute pubblica”) o più grave reato (es: art. 438 c.p. “epidemia”) per tale violazione si applicherà la pena dell’arresto “da 3 mesi a 18 mesi” nonché “l’ammenda da euro 500 ad euro 5.000”.
Come noto, l’adozione dei nuovi modelli di organizzazione aziendale contempla anche la necessità di adeguamento in materia di privacy. E già il Garante per la protezione dei dati personali ha provveduto alla pubblicazione delle FAQ interpretative della normativa emanata comprendendo i provvedimenti amministrativi ed altri accordi di rango inferiore (come quelli sottoscritti dalle Parti Sociali) con riferimento – solo a titolo di esempio – al ruolo del medico competente nel contesto lavorativo pubblico e privato o, ancora, la condotta che il datore di lavoro dovrà tenere in determinate circostanze e chiarendo, altresì, sino a che punto le aziende possano diffondere dati di soggetti posti in isolamento.
Ben si conosce, altresì, la linea tracciata dal Garante in ordine ai primi accertamenti ex D.L. 101/2018 effettuati dal “Nucleo Speciale Privacy della Guardia di Finanza”. Dopo la concessione di un periodo di tolleranza pari ad 8 mesi dalla entrata in vigore del GDPR , si è proceduto ad ispezionare prima le aziende di grandi dimensioni, continuando sin’oggi in una sempre maggiore attività capillare sul territorio (ed a campione) anche a carico delle PMI.
Ciò che si vuole rappresentare è, ad oggi, il mero parallelismo tra due discipline (sicurezza e privacy) che si mischiano tra loro nella fase di redazione di modelli organizzativi. Ponendo questioni – però – importanti sulle future modalità di esecuzione dei controlli per la tutela della salute pubblica (e, nello specifico, dei lavoratori). Che, a mio avviso, non saranno così tolleranti così come avvenuto in ambito privacy…
La questione, poi, che parte del Governo (in un recente question time tenutosi in Commissione Lavoro della Camera) abbia evidenziato una responsabilità “residuale” dell’imprenditore, non aggiunge – sempre a parere di chi scrive – nulla di nuovo rispetto a quanto già si conosceva in ordine alla residualità nell’applicazione delle leggi speciali (come quelle connesse alle misure “protocollari” e cioè d.lgs 81/01 e d.lgs 231/01). E ciò se ulteriormente si consideri la inesistenza di norme che escludano l’impunità della condotta.
Appare quindi utile sensibilizzare l’impresa per l’adozione di strumenti di controllo adeguati sia per la tutela della salute che della privacy.
Così come sarebbe il caso che il Governo iniziasse ad incentivare le aziende, per tale scopo, prevedendo misure economiche di sostegno con vincoli di destinazione ad hoc per l’adozione dei nuovi processi organizzativi. Sul punto nemmeno il c.d. “Decreto Rilancio” contempla tale ipotesi.
Avere visione di più lungo periodo, creando una nuova cultura dell’accountability in tale nuovo ambito di prevenzione penale, potrebbe limitare danni economici ulteriori ai quali le aziende oggi sono esposte, anche per la insufficienza di un quadro normativo che dovrebbe essere – questo è il paradosso (!) – “adeguato”. Con urgenza…